La ragazza del Convenience Store

La ragazza del Convenience Store

Edito in Italia da Edizioni e/o e forte delle oltre 700.000 copie vendute in Giappone, La Ragazza del Convenience Store di Murata Sayaka, catapulta il lettore italiano nell’universo di Keiko, trentenne solitaria che rifugge qualsiasi convenzione sociale scegliendo di vivere una vita alla giornata come dipendente part-time in un kombini.

Caratterizzata da alcune peculiarità comportamentali fin da piccola, Keiko non si è percepita sempre come un corpo alieno nel suo stesso ambiente sociale e familiare, rifugiandosi in un lavoro che le consente di avere limitati contatti con il mondo esterno.

La routine che regola il kombini rassicurano Keiko che finisce nel rifugiarsi in esso come un microcosmo protetto nel quale il suo ruolo ben definito non la costringono a giustificarsi sulle ragioni della sua diversità.

Per nulla sbagliato il paragone di questa opera con il bestseller mondiale di Banana Yoshimoto Kitchen, pur perdendo qualsiasi riferimento al sovrannaturale, nel quale Mikage si rifugiava nella cucina come luogo per trovare rassicurazione, conforto e calore dalla solitudine di un mondo percepito come ostile.

I freeters, giovani che rinunciano al posto fisso per sfuggire ad al conformismo della società del profitto, sono i veri protagonisti di questo romanzo come anche di tanta della letteratura di Banana Yoshimoto. Giovani che non riescono a rinchiudere il senso della loro vita nella cultura mainstreem, e che sentendosi rifiutati da essa sfuggono dai contatti sociali. E’ stato a tal proposito coniato il termine Hikikomori ad indicare l’isolamento sociale di alcuni giovani sempre più diffuso in Giappone come in altre nazioni come reazione ad richieste sociali sempre più pressanti. I kombini da questo punto di vista rappresentano il luogo simbolo di coloro che vivono questo tipo di esclusione sociale ma che sono anche i protagonisti della elaborazione di una vivida sottocultura dell’isolamento nella quale si esprime sottotraccia la resistenza alla dittatura culturale della produttività e del successo.

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